L’opera

La prima testimonianza della presenza del polittico sull’altar maggiore della Badia di San Pietro risale al 1815 quando Giulio Cordero di Sanquintino ne appuntò le condizioni conservative non buone. Nel 1858 poi, Giovan Battista Rinuccini riferiva come l’opera fosse stata momentaneamente trasferita in un locale attiguo alla chiesa in attesa di essere restaurata. L’intervento venne poi effettuato nel 1894 per mano di Domenico Fiscali. La pala fu, in seguito, oggetto di molti restauri, nonché di un furto nel 1971 che ne peggiorò ulteriormente le condizioni, come si percepisce ancora oggi, vedendo le numerose lacune presenti sulla superficie pittorica. Evidente sintomo di tale precarietà è il volto della Madonna, totalmente perduto, fatta eccezione per una minima porzione intorno alla testa, dove probabilmente era presente la corona della Vergine, realizzata in pastiglia dorata, secondo quanto riportato da Giulio Cordero. Oltre al San Giovanni Evangelista della cuspide, andato perduto, nel registro principale è il San Bartolomeo a presentare le maggiori cadute di colore; la predella è la parte che nel complesso appare più rovinata, poiché nessuno dei tredici santi ivi presenti risulta integro.
Pier Paolo Dinelli non esclude che il polittico fosse identificabile già con la tavola menzionata in un inventario del 1679, in cui era considerata come parte delle suppellettili della Badia. Inoltre, dal suo punto di vista, la presenza di San Pietro sul lato destro della Vergine lascerebbe supporre che il polittico fosse destinato in origine alla Chiesa di san Pietro Maggiore di Lucca. La basilica andò distrutta nel 1513 per far posto alla nuova cinta muraria; non ci sono molte fonti in grado di attestare i beni della collegiata al momento della distruzione ma da alcuni documenti si evince che la pala per l’altar maggiore della chiesa era stata realizzata proprio dall’Anguilla, in condizioni di lavoro piuttosto travagliate. Sappiamo che il socio del pittore, Cecco di Francesco da Pistoia, tra il 1428 e il 1429 tornò in patria, momento in cui l’esecuzione subì necessariamente una fase di arresto. Se si accetta per buona l’ipotesi del Dinelli, secondo cui la pala sarebbe stata realizzata per la chiesa lucchese, bisogna considerare la partecipazione di Cecco da Pistoia, che pare abbia avuto un ruolo di rilievo soprattutto nella fase iniziale del lavoro. Secondo Dinelli, è a lui che deve essere attribuito lo stile che rimanda a una certa vena arcaizzante, evidente nelle figure di San Giacomo Maggiore e San Pietro, particolare che rende l’opera collocabile tra il 1400 e il 1410; nonostante gli studi condotti fino ad oggi non siano in grado di confermare tale collaborazione, secondo Dinelli, nei pannelli laterali è evidente il lavoro di un pittore di matrice pistoiese, attivo sotto la guida dell’Anguilla.
Il recente restauro, di cui si parla in maniera più approfondita nell’apposita sezione, tuttavia evidenzia alcune differenze che rendono tangibile la possibilità di individuare più fasi di lavoro. Dopo la partenza di Cecco di Francesco da Lucca, il polittico rimase incompiuto tanto che venne ricoverato in casa di Nardo di Giovanni; si suppone, quindi, che l’Anguilla avesse iniziato un semplice abbozzo della Vergine con il Bambino e non avesse messo ancora mano alla predella.
Da una ricostruzione stilistica ipotizzata da Dinelli, la bottega dell’Anguilla doveva essere ancora attiva a Lucca dopo la caduta di Paolo Guinigi, dimostrando una compenetrazione tra la tradizione locale trecentesca e una visione che già risente del Rinascimento fiorentino.

Testo e pagina a cura di Chiara M. Menchetti