1893: l’ispezione e la relazione di Guido Carocci

Trovasi in uno stato di deperimento deplorante”, con queste parole, lo storico Guido Carocci (1851-1916) definisce lo stato di conservazione del polittico della Badia di San Pietro di Camaiore in una dettagliatissima relazione inviata il 24 novembre 1893 al Direttore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Firenze.

Già nell’agosto di quello stesso anno, il Ministero della Pubblica Istruzione, segnala allo stesso Ufficio regionale “un quadro di Pietro [!] Anguilla diviso in cinque scompartimenti, in stato di grave deperimento per essere stato tenuto da oltre venti anni in luogo umido e buio”. Nel testo inoltre si richiedono informazioni sullo stato conservativo del polittico, sulla mancanza di una delle cuspidi e sulla sua proprietà giuridica. Pochi giorni dopo, l’Ufficio regionale conferisce l’indagine all’ispettore Salvatore Bongi, storico, archivista e biografo lucchese, ma l’erudito per problemi di salute delega un ispettore di pubblica sicurezza, tal Cavalier Bonanno, che dà avvio all’indagine, constatando la presenza del polittico nella chiesa di Badia di San Pietro, la buona custodia dell’opera, pur bisognosa di “qualche restauro” e la mancanza di una delle cuspidi. A questa data la proprietà giuridica risulta dell’Opera Pia dei RR Ospedali di Lucca ma vincolata a una servitù d’uso esclusivo e perpetuo alla Confraternita della chiesa di Camaiore[1].

L’ufficio regionale, ricevuta l’indicazione a procedere del Ministero, affida allo storico Guido Carocci il compito di redigere una dettagliata perizia sullo stato conservativo del polittico, su cui elaborare un progetto per le “riparazioni strettamente necessarie”, e di fornire notizie storico-artistiche del dipinto. Carocci corregge per prima cosa l’errato nome dell’Anguilla in Francesco, descrive dettagliatamente i soggetti e la struttura architettonica dell’ancona, riportandone le misure. Lo studioso trascrive le iscrizioni presenti nell’opera, tra cui risulta particolarmente interessante la firma dell’artista, posta sul gradino del trono della Vergine. Il resoconto conferma inoltre  la mancanza di una delle cuspidi, per la precisione quella che doveva contenere la mezza figura di San Giovanni Evangelista, posta sopra il pannello con il Battista. Le cuspidi dovevano quindi trovarsi in posizione diversa da come le vediamo oggi: Carocci colloca infatti l’Annunciata e l’Arcangelo Gabriele nelle cuspidi più esterne, Dio Padre benedicente in quella di mezzo, sopra la Madonna, Sant’Antonio Abate sopra il pannello con San Pietro. Lo studioso fornisce inoltre alcune notizie storico-artistiche sull’autore, sottolineando l’importanza del dipinto, unica opera allora nota del maestro lucchese, pur riconoscendone una certa arretratezza, nel definirlo seguace di Giotto.

Preziose sono le notizie sulla storia conservativa del polittico ricavabili dalla relazione: sistemata prima sulla mensa d’altare della chiesa, l’opera venne poi sostituita da un nuovo altare barocco, e spostata in fondo all’abside, dove per l’abbandono in cui era caduta la Badia, fu lasciata all’azione nefasta dei venti e della pioggia. Come se non bastasse, a tali danni si aggiunse l’incuria dei sagrestani che erano soliti appoggiarvi sopra scale per adornare di luci e fiori un’altra immagine, a noi sconosciuta, ma considerata allora di maggiore venerazione. Completamente abbandonato e negletto, il polittico venne poi tolto persino dalla chiesa e collocato in un magazzino della Compagnia della Pietà, che aveva sede nella Badia, dove il degrado inarrestabile delle superfici pittoriche si aggravò per effetto della pioggia che si infiltrava dal tetto, della polvere, e delle “ingiurie degli ignoranti”. Riconosciuta, anche se con ritardo imperdonabile, meritevole di conservazione, l’opera fu riportata in chiesa e appesa alla parete della navatella destra, dove Carocci la vide.

I danni maggiori osservati dall’ispettore erano i cretti e i sollevamenti di colore ancora in atto che interessavano in maniera generale tutta la superficie della tavola. Queste lesioni erano state causate dall’umidità e dai cambi improvvisi di temperatura subiti negli anni: si erano completamente perduti la testa con il volto della Vergine e tutta la parte centrale della figura come gran parte dell’angelo a destra; assai danneggiate erano anche le figure di San Giovanni Battista e di San Bartolomeo e quelle dei Santi delle cuspidi e della predella, così come le cornici, i pilastri laterali, gli esili colonnini a tortiglione, spezzati e marci per effetto ancora una volta dell’umidità.

Era quindi oltre modo urgente che si provvedesse ad effettuare le necessarie “riparazioni” [2]. Lo stesso Carocci precisava con estrema chiarezza che le condizioni conservative irrimediabilmente compromesse del dipinto non rendevano praticabile un restauro estetico e di completamento tale da restituire la tavola alle sue “originarie condizioni come taluno della località sembra vagheggi”. Tale restauro avrebbe in sintesi comportato una “scellerata falsificazione” del polittico secondo Carocci, che propose dunque una serie di riparazioni atte unicamente a consolidare ciò che rimaneva dell’antico dipinto. Perciò l’opera del “riparatore” secondo lo studioso doveva limitarsi a:

– risanare le tavole asportandone i frammenti ormai marci per l’umidità

– procedere alla disinfestazione dei supporti lignei dagli insetti xilofagi

– fermare il colore e la mestica che presentano sollevamenti e crettature

– stuccatura delle lacune intonando con tinte neutre le zone prive di colore

– riparare ed eventualmente completare le parti della carpenteria lignea ormai perse o irrecuperabili.

Per tale lavori, stimati una spesa di lire 600, Carocci proponeva infine come riparatore il signor Domenico Fiscali.

[1] Nota del Ministero della Istruzione Pubblica all’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Firenze, 12 agosto 1893.

[2] La scelta del termine “riparatore” al posto di restauratore appare determinata dalle implicazioni negative del secondo termine, inteso come arbitrario e falsificante, soprattutto considerando il movimento critico che all’attività di restauro aveva opposto quella della conservazione. Camillo Boito a proposito del restauro architettonico: “Altro è conservare, altro è restaurare, anzi molto spesso l’una cosa è il contrario dell’altra; e la mia cicalata s’indirizza non ai conservatori, uomini necessari e benemeriti, bensì ai restauratori, uomini quasi sempre superflui e pericolosi”.  Cfr, G. Di Cagno, Arte e storia: Guido Carocci e la tutela del patrimonio artistico in Toscana 1870-1915, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, pp. 45, 86.