Tessuti antichi

Sapevate che anticamente era possibile indossare un’inferriata? O che un damasco poteva essere lanciato? Una visita alla straordinaria collezione di antichi tessuti del Museo di Arte Sacra di Camaiore vi aiuterà a risolvere tali enigmi.

Inferriata è infatti il termine ottocentesco con cui si indica una particolare tecnica decorativa applicata al velluto operato, con cui i contorni del disegno lasciano a vista l’armatura di base, mentre le parti coperte dall’armatura di pelo costituiscono il fondo colorato su cui spicca il disegno stesso, che ricorda quei lavori di ferramenta realizzati in ferro battuto: le inferriate, appunto.

Questo tipo di tessuto, diffuso principalmente nel XV secolo, è quasi sempre monocromo (rosso o verde, per lo più), con disegni ad esili linee chiare, nervature sottili che danno origine a figurazioni polilobate, al cui interno sono raffigurati fiori di cardo, di loto o di melagrana. Il parato in terzo del MASC è stato ricavato da un tessuto più antico, riadattato alle nuove necessità, ed è uno splendido esempio di velluto ad inferriata.

dalmatica o tunicella
Dalmatica, 110 x 140 cm. Galloni in seta a motivi geometrici.

Sempre nella terminologia specifica, troviamo i tessuti lanciati, per differenziarli dai quelli broccati. Si parla dunque delle trame, ossia l’insieme dei fili disposti orizzontalmente che, con quelli verticali dell’ordito, concorrono nel formare un tessuto. Nel telaio a mano, la trama è inserita nel passo dell’ordito da una navetta – o spoletta – che, passando da un lato all’altro del tessuto, srotola il filato; questo viene poi battuto dal pettine per avvicinarlo al filo di trama del passaggio precedente, così una riga dopo l’altra viene costruita la pezza di stoffa. La trama lanciata è una trama supplementare a quelle che formano la base del tessuto, va da una cimosa all’altra senza soluzione di continuità e appare solo sul diritto del tessuto, mentre la trama broccata viene inserita solamente per la larghezza del disegno che si vuole ottenere.

Le invasioni non barbariche.

Nell’attuale contesto culturale italiano, in cui le migrazioni di popoli provenienti da lontani Paesi di culture diverse destano a volte più preoccupazione che curiosità, potrebbe rivelarsi non disutile ricordare che l’Europa è stata da sempre permeabile a uomini, merci, idee che circolavano liberamente attraverso le grandi vie di comunicazione del mondo conosciuto.

Nell’articolo “Migrazioni tecnologiche e interazioni culturali. Chinoiserie ed esotismo nell’arte tessile italiana del XIII e del XIV secolo”, Maria Ludovica Rosati esamina la relazione tra le produzioni orientali ed il rinnovamento tecnico, stilistico ed iconografico delle tessiture seriche italiane del basso medioevo e ben illustra, proprio nel caso dell’esotismo tessile trecentesco, che l’intera vicenda della seta nel Medioevo e in parte dell’età moderna corrisponde in realtà ad un ininterrotto percorso di migrazione delle competenze tecnologiche e delle formule decorative dall’Estremo Oriente al mondo prima bizantino, poi islamico e in ultimo, europeo.

Tra l’ultimo terzo del XIII secolo e la fine di quello successivo la conquista mongola di gran parte dei territori asiatici diede un nuovo impulso alla diffusione dei manufatti serici dalla Cina fino all’Europa, favorendo i contatti e gli scambi tra realtà culturali distinte. Questo coincise storicamente con il periodo in cui sorsero e si affermarono le prime manifatture seriche italiane di alto livello, cosicché l’Occidente passò dal ruolo di destinatario finale passivo delle merci commerciate lungo la Via della Seta a quello di produttore di manufatti suntuari, divenendo particolarmente ricettivo nei confronti degli stimoli stranieri. La particolarità del momento storico, caratterizzato ad Est dall’unificazione politica e culturale del continente asiatico con l’impero mongolo e i suoi stati vassalli e, ad Ovest, dalla nuova spinta propulsiva alla penetrazione commerciale nei medesimi territori da parte delle città europee, soprattutto italiane, coincide sostanzialmente con il quadro complessivo che giustifica la diffusa presenza in Occidente di tessuti orientali.

Ciò significa soprattutto che una particolare iconografia o una soluzione formale possano aver viaggiato sulle lunghe distanze e possano essere state imitate, talvolta anche senza che si fosse compreso esattamente cosa rappresentassero, dal momento che è il fatto stesso di comparire in una tipologia nota e apprezzata di oggetto suntuario a determinarne la fortuna e l’assimilazione. Poteva ad esempio accadere che una stoffa islamica, tessuta per la gloria di un sultano e di Allah, divenisse involucro privilegiato della santità cristiana, avvolgendo le reliquie nei tesori ecclesiastici europei. In una situazione di comunanza delle pratiche sociali connesse ai tessuti e di gusto condiviso nei confronti del medium tessile, il manufatto serico suntuario era in grado di esprimersi in una lingua internazionale, apprezzabile in diversi contesti culturali.

Tra le soluzioni decorative del repertorio tipologico proveniente dall’Oriente sono dunque le melagrane, le maglie di ovali a doppia punta, i fiori di cardo e le volute intrecciantisi di tralci ondulati e fogliati, variamente abitate da animali, le palmette, il mitico uccello feng-huang che, perdendo il suo significato originario di attributo tipico della consorte imperiale cinese, diviene in Occidente una creatura mitica, assimilabile alla fenice, così come il fungo dell’immortalità cinese si trasforma in arabesco nelle mani degli artisti islamici.

In questo contesto, dunque, l’arrivo in Europa dei panni tartarici rappresenta tanto una ventata di assoluta novità per il pubblico quanto un vastissimo serbatoio, al quale le manifatture tessili italiane potevano attingere per indirizzare le proprie produzioni in quella direzione gotica e moderna che già permeava la cultura figurativa occidentale. Le sete orientali infatti mostravano una via per ottenere effetti di preziosità materica, vibrazione luministica e tridimensionale cangiantismo in tipologie come i velluti, i lampassi broccati in oro, le armature raso e i damaschi. Inoltre proponevano inedite strutture compositive, dove direttrici curvilinee e asimmetriche percorrevano uno spazio continuo e unitario, abitato e vivificato da un bestiario di creature sconosciute. Infine, racchiudevano il mondo della natura e ne sapevano riproporre le più sottili variazioni vegetali. Avendo a disposizione una fonte così feconda, la risposta europea fu pressoché immediata e avvenne nella forma dell’appropriazione, della contaminazione e della chinoiserie vera e propria, in quanto i tessitori italiani accostarono e mescolarono Orienti diversi, li arricchirono di nuove invenzioni ed espressero nel linguaggio straniero e nelle forme esotiche tutta la fantasia occidentale trecentesca.

1 Maria Ludovica Rosati, Migrazioni tecnologiche e interazioni culturali. Chinoiserie ed esotismo nell’arte tessile italiana del XIII e del XIV secolo, in OADI, n° 2, Dicembre 2010.